tabula rasa
Kazumi Kurihara
  
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A flower is not a flower
2010
mixed media (pellicia bianca sinetica, filo di cottone, filo di lana, tavolo, sedia, libri, bottiglia, stivali, scatole e tela)
/ dimensioni variabili

Nel 1928-29 il pittore surrealista belga René Magritte dipinse un celebre quadro, poi riproposto in altre versioni: L’uso della parola. Raffigurava una pipa disegnata in maniera fedele, con sotto la scritta, tracciata con caratteri da alfabetiere per l’infanzia, “Ceci n’est pas une pipe” (Questa non è una pipa), mettendo lo spettatore dinanzi alla ‘clamorosa’ evidenza del fatto che quella che egli aveva davanti non era una pipa, ma ‘solo’ la sua immagine.

Una raffinata operazione concettuale, quella di Magritte, tesa a formulare in maniera icastica il rapporto tra arte, rappresentazione e linguaggio, verità e finzione, somiglianza e similitudine, “il mistero evocato di fatto dal visibile e dall’invisibile, e che può essere evocato di diritto dal pensiero che unisce le cose nell’ordine che evoca il mistero”[1], come scriveva lo stesso Magritte in una lettera del 1966 al filosofo Michel Foucault, che sulla serie delle ‘pipe’ magrittiane avrebbe scritto anche un saggio.

L’installazione dell’artista giapponese Kazumi Kurihara già dal titolo, A flower is not a flower (Un fiore non è un fiore), sembra collegarsi idealmente all’opera dell’artista belga. Il fiore evocato è quello che campeggia in un vaso al centro di un tavolo, accompagnato da altri oggetti del vissuto quotidiano: una sedia, dei libri, un paio di stivali, un abito, una borsetta.

La reale evidenza, l’epifania di questi elementi è però celata allo sguardo tramite una copertura in pelliccia bianca sintetica, morbida, candida, dalla seducente tattilità, che come il velo di Maya di Schopenauer, il velo ingannatore, nasconde dietro l’illusione l’essenza autentica delle cose. Il filo di cotone cuce oggetti e superfici, come una ragnatela che tiene insieme ogni pezzo, un reticolo che guida l’occhio e il pensiero in un percorso di scoperta. L’unico elemento libero da questo soffice ‘impacchettamento’ è un dizionario dei sinonimi e dei contrari, che offre un’interessante chiave di lettura. Quegli oggetti rappresentati sono davvero reali? O sono soltanto una larvata apparizione, un segno, un simulacro? Si sommano, come sinonimi, o si pongono come alternativa alla verità delle cose e alla loro materialità, come contrari? Ancora una volta, dunque, ‘le parole e le cose’, per rievocare di nuovo Foucault, la realtà e il linguaggio si pongono come efficace metafora di un quesito di natura ontologica.

Attuando un meccanismo di alterazione dei materiali, in una metamorfosi dal duro al molle di matrice surrealista (da Colazione in pelliccia di Meret Oppenheim a Dalì), e attraverso il tessuto che, pur celandoli, ripropone indumenti, accessori e mobili sotto nuove spoglie, Kurihara mette in discussione l’essenza della realtà per riproporla, come lei stessa afferma, “in quanto copia imperfetta dell’essenza di un sogno”.

Marina Giordano
(Critica d’arte e curatrice, docente di Didattica e Comunicazione dell’arte contemporanea all’Università di Palermo)


[1] René Magritte, Lettera a Michel Foucault, 23 maggio 1966, in Michel Foucault, Questa non è una pipa, trad. it. Di Roberto Rossi, SE, Milano 1988, p. 90.

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